povero paziente

le pergole torte
le pergole torte

ieri sera – ad una cena degustazione il cui ospite d’onore era il vino le Pergole Torte – si parlava del titolare dell’azienda ed in particolare di un suo articolo pubblicato anni addietro: nel tentativo di ricercarlo online ne trovo un altro ugualmente interessante, che riporto per intero (da firenze.repubblica.it)

CARI amici, ci conosciamo da diversi anni, abbiamo scherzato assieme, spero di avervi dato qualche ora di allegria, quindi perdonatemi se oggi sarò triste. Voi che vivete come me la vostra vita quotidiana, non vi accorgete del progressivo inarrestabile peggioramento del nostro cibo? Tutto contribuisce, ma la scienza in modo maggiore, a rendere mangiabili unicamente per sopravvivere, le materie prime di madre natura che per millenni hanno costituito uno dei cardini della felicità dell’ uomo. A questo purtroppo si unisce l’ incapacità a cucinare dei cuochi improvvisati, fortunatamente non tutti, delle mogli impegnate, dei poveri single impreparati. Tutta questa premessa, da me voluta per sferzare la tragica situazione attuale, aveva però un altro punto di arrivo: perchè negli ospedali si deve mangiare sempre (o quasi), così male? Il paziente, fisicamente e psichicamente debole, aspetta con ansia le 11.30 e le 18, ore classiche dei pasti ospedalieri, perché rappresntano l’ unico svago di una triste giornata sdraiati in un letto scomodo, flebo, catetere, sonde, sedativi, medicine varie, tutto negativo. Ma ora c’ è il momento di gioia: ed ecco il classico semolino, le stelline in brodo, l’ aluccia di pollo, gli spinaci insipidi, il purè senza burro, la melina cotta. E come sembra tutto buono, altro che Pinchiorri, lì è la gioia. Anche io, assiduo frequentatore, non per sadismo ma per necessità di cliniche di tutta Italia, ho avuto queste gioie. E ricordo ancora le buone minestrine, in alternativa alle stelline c’ era la grandinina. Poi, due anni fa, il ricovero in una bellissima clinica di Milano dove tutto era positivo, anche la cucina: un ricchissimo, menù, da ristorante tre stelle, spettava solamente a chi era libero da restrizioni, ma in questo caso, ventre mio fatti capanna. La gioia finì, tutto tornò nella norma. E quindi si ritornò alla tradizione che purtroppo non esiste più, e lo sapete perché? Perché non ci sono più le suorine che all’ alba sbucciano le patate o le carote, preparano il brodo, preparano le meline da mettere in forno al momento giusto perché il povero possa mangiarsele ben calde. Oggi tutto questo è finito, oggi c’ è il catering, e così mi è capitato durante l’ ultimo non gradito soggiorno in una clinica milanese, ultra-moderna, tecnicamente e scientificamente perfetta, oggi garanzia per quanto riguarda la futura guarigione del paziente. Dieci giorni di angoscia, non sono riuscito a toccare nessuno dei cibi che mi sono stati presentati, neanche la mela cotta, fredda, avvolta nel pvc (vietato!) da potersi mangiare solo con coltello e forchetta da come era dura. Il tutto presentato da cameriere in minigonna nera e grembiulino con il fioccone sul culo. E per condimento bustine di olio e aceto non meglio identificati, roba che nuoce seriamente alla salute. E allora, questo povero paziente, lo guarite dal tumore senza pensare a tutto il resto e sopratutto alle sue necessità psicologiche che sono anche quelle alimentari? Ma in che mondo squallido siamo arrivati? Non c’ è più umanità in nulla. Care suorine, addio, non vi vedremo più. E la nostra vita, anche quella ospedaliera, sarà sempre più triste. Scusatemi lo sfogo, ma tutto serve. La prossima volta cercherò di essere più allegro.
SERGIO MANETTI
09 gennaio 2000   pagina 6   sezione: FIRENZE Repubblica

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