al malato oncologico comunicare solo la verità

Sto per mandar via una paziente, ho già scritto il referto e sto per stamparlo quando lei mi gela con una domanda: ma voi dite tutto subito ?
Mi trovo catapultato in un mondo immaginario (per quanto mi riguarda non c’è dubbio, un mondo così può esistere solo nella fantasia) in cui un paziente va a visita (la giovane paziente che mi ha posto la domanda, peraltro, era da sola in ambulatorio) e gli si racconta qualcosa e poi gli arriva (a casa? per posta?) una sentenza di tutt’altro tipo.
Siccome il mio sguardo doveva esprimere una notevole dose di stupore ha cercato di aggiustare il tiro: sa com’è mia madre era ammalata e ad un certo punto abbiamo deciso di nasconderle la verità, per cui il medico era chiamato ad inventarsi un andamento di malattia benigno mentre invece si avvicinava l’esito. Le ho fatto presente che deontologicamente e legalmente un comportamento del genere è inammissibile, oltre al fatto che sono profondamente convinto del fatto che la persona deve esser informata di ciò che le sta accadendo per poter decidere di gestire al meglio ciò che le resta da vivere.
Mi è capitato, di rado per fortuna, di ricevere richieste di questo tipo e non nascondo che le ho gestite con grossa difficoltà.
A seguire l’incipit di un articolo che riguarda proprio la comunicazione con il paziente terminale.

Il malato oncologico dovrebbe essere subito messo al corrente non solo della diagnosi che lo riguarda ma anche della prognosi; non si tratta di sapere quanti mesi di vita rimangono ma di essere posti in grado di scegliere, e al limite rifiutare, le terapie in piena consapevolezza. A partire dalle cure palliative. Già, perché oggi solo il 12 per cento dei pazienti degli hospice italiani è al corrente dell’imminenza della morte (negli Usa tale consapevolezza c’è in un caso su tre); soltanto una minoranza di degenti sa di essere trattata con farmaci oppioidi; e al contrario il ricorso alle chemioterapie nell’ultimo mese di vita, quando sono palesemente inutili, è ampio e interessa almeno un quarto dei malati, sia in Italia sia all’estero.
continua sul sito doloredoc

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