un vuoto legislativo

ha reso possibile l’assoluzione di un medico che filmava i glutei della paziente: per avere giustizia la paziente dovrà far ricorso in sede civile perché in quella penale gli è stata negata.
Il professionista era stato condannato dalla Corte d’appello di Firenze per il reato di interferenze illecite nella vita privata mediante uso di riprese visive in virtù dell’articolo 615 bis del codice penale ma la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato la sentenza senza rinvio perchè il medico non era condannabile in base al reato contestato. Secondo la suprema Corte, infatti, la norma in questione fa riferimento a sua volta all’articolo 614 sulla violazione di domicilio. In questo caso, però, non c’era stata violazione di domicilio e della sfera privata trattandosi dello studio del medico e non della casa della vittima.
Si tratta di una «indubbia grave lacuna legislativa che sarebbe auspicabile fosse colmata», scrivono i supremi giudici. Nella sentenza 36884, si spiega che «la signora, vittima della biasimevole condotta del professionista, ha certamente motivo di dolersi della violazione della propria privacy e della violazione del diritto alla propria immagine ma lo stato attuale della legislazione non consente nel caso di specie l’accesso alla tutela in sede penale ai sensi dell’articolo 615 bis cp».
Alla vittima ora non resta altro che far ricorso in sede civile per lesione della dignità e della riservatezza.

Direi che non c’è limite al peggio: qui si parla di Cassazione per cui non c’è molto dubbio sulla non colpevolezza del collega  . . . . 

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