una diagnosi sbagliata

faccio accomodare una paziente – followup oncologico – che esordisce, mostrandomi la documentazione dei precedenti esami, con ad un controllo precedente era stata sbagliata la diagnosi.
Terrore puro: sarò stato io, per caso ?
Per fortuna, no: non era stato visto un reperto al fegato (non banale, un piccolo nodulo sfumato in una posizione non facile; non era stato interpretato correttamente un reperto splenico. Una successiva TC ed un’ulteriore controllo ecografico avevano ben inquadrato il tutto.
Mi tocca pertanto pedalare in salita, attenzione particolare a quel che si vede e si dice – sia per la delicatezza della malattia primaria sia per l’errore da farsi perdonare (anche se non l’ho commesso io mi sento comunque sotto giudizio); per render tutto più facile il reperto a carico della milza non c’è più: guarda riguarda, gira rigira non c’è proprio più nulla.
Ne parlo, spiego, effettuo l’esame facendo vedere anche alla paziente (mi è già capitato, anche se non di frequente, per cui sono abbastanza tranquillo e la tranquillizzo chè comunque non esiste relazione con la malattia oncologica per cui è venuta a controllo).
Ci lasciamo con una richiesta da parte mia: le spiace farmi sapere se, ripetendo l’esame o effettuando approfondimento, verrà fuori qualcosa di discordante rispetto alle mie conclusioni?

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